OBBLIGO DI FEDELTÀ: PER LA LIBERTÀ DI PAROLA E L’EGUAGLIANZA DI FRONTE ALLA LEGGE

Due anni fa lanciammo una mobilitazione contro il licenziamento di cinque operai cassintegrati della Fiat di Pomigliano “colpevoli” di aver espresso il dolore e la rabbia per il suicidio di tre compagni di fabbrica, privati – non diversamente da loro – di ogni prospettiva di occupazione. Ci parve che gli amministratori della giustizia avessero rimesso il mondo sul suo asse, perché la Corte d’appello, smentendo il Tribunale del lavoro, diede ragione a Mimmo Mignano e ai suoi quattro coraggiosi compagni, ordinando alla Fiat Chrysler Automobiles il pieno reintegro. Cosa che però la FCA non fece, limitandosi a versare il salario senza permettere ai cinque di varcare i cancelli della fabbrica, quasi fossero pericolosi criminali, mentre invece portò la vicenda in Cassazione.

Dopo un tempo lunghissimo – due anni, che i cinque hanno trascorso in attesa e sospensione nel vuoto – il 6 giugno 2018 la Cassazione ha reso nota la sentenza con cui accoglieva il punto di vista aziendale, sancendo l’obbligo di “fedeltà” all’azienda fuori dall’orario di lavoro.

Secondo i giudici di Cassazione, i cinque avrebbero posto in essere «comportamenti che compromettevano sul piano morale l’immagine del datore di lavoro», venendo meno all’«obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato» richiamato dall’articolo 2105 del Codice civile. Questo a dispetto del fatto che l’articolo in questione dispone – semplicemente – che «il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio».

Stiamo parlando di una norma studiata per salvaguardare gli interessi dell’azienda rispetto ad eventuali competitori, che vieta al dipendente di mettersi in concorrenza con il proprio datore di lavoro, legandolo alla riservatezza sui segreti aziendali. Come può una simile disposizione essere indirizzata a operai che, con mansioni esecutive spesso limitate a una sola linea di produzione, o al massimo a un reparto, nemmeno lontanamente possono «trattare affari per conto proprio o di terzi», né tantomeno conoscere «notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione»?

La sentenza ratifica una ratio secondo cui non conta la sofferenza dei deboli ma l’immagine pubblica del padrone; in cui non si protegge l’onorabilità dei suicidi ma quella della controparte, indipendentemente dall’immane disparità del rapporto di forza.

Anno dopo anno, in Italia è stata intaccata la fondamentale funzione esercitata dalla disciplina del diritto del lavoro, diretta a bilanciare lo squilibrio nel rapporto di forza fra imprenditore e dipendente.
Privati persino del diritto di protestare, di gridare il proprio dolore e offesa, cosa lo Stato intende lasciare ai suoi cittadini cassintegrati, licenziati, disoccupati, oltre all’abisso di gesti autolesivi?

Contro questa sentenza, che apre pericolose contraddizioni sull’interpretazione dell’obbligo di fedeltà cui sarebbero assurdamente sottoposti i dipendenti aziendali, intendiamo sostenere non solo Mimmo Mignano e i suoi compagni, ma i numerosi lavoratori licenziati per aver espresso pubblicamente opinioni critiche sulle scelte del proprio datore di lavoro, benché fuori dall’orario e dalle sedi di impiego.

Una simile interpretazione adatta ai casi concreti i principi generali della fedeltà e dell’auto-dominio, e così facendo sancisce l’asservimento dei lavoratori, li condanna al silenzio, li rende ricattabili nella sfera pubblica, riduce la persona umana al mero scambio lavorativo appropriandosi anche della parte di esistenza che è fuori dall’orario di lavoro, disconosce la tutela della dignità dell’uomo sancita dalla Costituzione.

Le recenti riforme del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi. Quanto sta accadendo non è solo il risultato di cambiamenti normativi ma l’indice di una profonda involuzione culturale, politica e umana, che minaccia lo stesso sistema democratico del nostro Paese.

La sentenza contro i cinque della FCA segna un salto simbolico al quale intendiamo opporci, perché va a colpire operai che hanno attuato una protesta sindacale utilizzando espressioni satiriche, per quanto aspre, all’unico scopo di dar voce all’angoscia esistenziale che nasce dalla precarietà del lavoro, dall’umiliazione dell’essere considerati scarti dell’umanità, dal dolore per i numerosi compagni che negli anni, alla Fiat e in tutta Italia, si sono suicidati per la perdita del lavoro.

Anche noi crediamo nell’obbligo di fedeltà: quello alla dignità di chi si oppone, e quello alla memoria di chi soccombe. Per questo lanciamo una campagna con la quale chiediamo al Legislatore di regolamentare la normativa sull’obbligo di fedeltà limitandone l’interpretazione a ciò che effettivamente dice, cioé la difesa dell’azienda rispetto alla concorrenza, e chiediamo alla Cassazione di revocare e correggere l’attuale interpretazione.

Per sottoscrivere l’appello vai a: https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/
Oppure invia mail di adesione a: ellugio@tin.it

PRIMI FIRMATARI
Andrea Vitale, maestro, pubblicista
Daniela Padoan, scrittrice
Alessandro Arienzo, Università di Napoli “Federico II”
Franco Rossi, docente e pubblicista
Guido Viale, economista
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, presidente Attuare la Costituzione
Erri De Luca, scrittore
Massimo Cacciari, filosofo
Marco Travaglio, giornalista, direttore de Il Fatto Quotidiano
Luigi De Magistris, sindaco di Napoli
Moni Ovadia, attore
Ascanio Celestini, attore e regista
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano
Massimo Villone, costituzionalista, professore emerito di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Napoli
Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista
Luigi Ferrajoli, giurista, professore di filosofia del diritto all’Università di Camerino
Riccardo Petrella, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio)
Giuseppe Del Bene, già magistrato del lavoro
Alessandra Ballerini, avvocato
Giuseppe De Marzo, responsabile politiche sociali di Libera
Eleonora Forenza, parlamentare europea, Gruppo GUE/NGL
Luigi De Giacomo, fondatore “Attuare la Costituzione”
Don Peppino Gambardella, parroco di Pomigliano
Francesco Pallante, professore di diritto costituzionale all’Università di Torino
Annamaria Rivera, antropologa
Maria Grazia Meriggi, docente di storia delle culture politiche e dei movimenti sociali europei all’Università di Bergamo
Barbara Pezzini, ordinaria di diritto costituzionale, prorettrice con delega alle politiche di equità e diversità dell’Università di Bergamo
Giuseppe Marziale, avvocato
Giuseppe Antonio Di Marco, Università di Napoli “Federico II”
Valeria Parrella, scrittrice
Francesca Fornario, giornalista e scrittrice
Franco Lorenzoni, maestro
Riccardo Bellofiore, professore di economia politica all’Università di Bergamo
Piero Bevilacqua, storico
Gruppo musicale Lo Stato sociale
Giuseppe Aragno, storico
Donato Auria, operaio indotto FCA Melfi
Domenico De Stradis, operaio FCA Melfi
Andrea Di Paolo, operaio FCA Termoli
Piero Azzoli, operaio FCA Cassino
Teresa Elefante, operaio FCA Mirafiori
Rosario Monda, operaio FCA Pomigliano, reparto logistico Nola
Andrea Tortora, operaio FCA Pomigliano, reparto logistico Nola
Giorgio Cremaschi, Piattaforma Sociale Eurostop
Mario Agostinelli, Energia Felice, già segretario generale della CGIL Lombardia
Piero Basso, presidente Costituzione Beni Comuni
Emilio Molinari, Comitato Acqua Pubblica, già parlamentare europeo
Franco Calamida, già deputato del Parlamento italiano
Vittorio Agnoletto, medico, già parlamentare europeo
Giuseppe Cacciatore, professore emerito Università Napoli, Accademico dei Lincei
Maria Rosaria Marella, docente Diritto Costituzionale, Università di Perugia
Nicola Magliulo, docente e pubblicista
Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC
Giovanni Russo Spena, dirigente nazionale PRC
Gianluca Carmosino, redazione Comune-info.net
Alessandro Portelli, storico
Damiano Colletta, sindaco di Latina
Claudio Serpico, docente Università Federico II Napoli
Michele Tripodi, sindaco di Polistena
Giovanna Vertova, docente di economia politica
Marco D’Isanto, commercialista e pubblicista
Giovanni De Stefanis, Assoc. Libertà e Giustizia, Circolo di Napoli

TANTE NUOVE FIRME ALL’APPELLO

In questi giorni, il nuovo appello, come due anni fa quando lanciammo il primo, sta ricevendo attestati di solidarietà straordinari. E’ la dimostrazione di come la sentenza della cassazione di conferma del licenziamento renda ancora più evidente il significato profondo che assume la vicenda degli operai FCA licenziati.

Nella pagina apposita del nostro sito tutte le firme, quelle dei tantissimi operai, lavoratori, pensionati, disoccupati, studenti, intellettuali, giuristi, amministratori, politici e sindacalisti, che hanno dato la loro solidarietà. In particolare segnaliamo:

Gad Lerner – giornalista, conduttore televisivo e saggista
Danilo Risi – Napoli, Esecutivo Nazionale Giuristi Democratici e Pres. Giuristi Democratici Napoli
Maurizio Donato – Teramo, docente di Economia politica, Università di Teramo
Leonardo Bargigli – Firenze, docente Università di Firenze
Alessandra Arcuri – Amsterdam (NL), professore di Diritto Internazionale, Erasmus School of Law, Erasmus University Rotterdam
Enrico Beniamino de Notaris – Napoli, psichiatra
Daniele Sepe – Napoli, musicista
Valerio Evangelisti – Bologna, scrittore
Stefano Bencivenga – Padova, musicista
Luca Bellino – Roma, regista
Silvia Luzi – Roma, regista
Ameriga Petrucci – avvocato del Foro di Potenza
Piero Di Siena – giornalista
Dante De Angelis – Velletri (Roma), ferroviere, licenziato e poi reintegrato per aver denunciato problemi di sicurezza
Roberto Fiandaca – Palermo, articolista
Patrizio Ansalone – Torino, ricercatore
Enzo Scandurra – Roma, già Docente di Urbanistica
Sapienza University of Rome
Iaia de Marco – Pozzuoli (NA), docente universitaria
Federico Della Valle – Università di Siena
Roberto Porta – pubblicista, già operaio metalmeccanico
Fabio Parascandolo – Cagliari, geografo, Università degli Studi di Cagliari
Giuseppe Saponaro – già Università di Roma «Sapienza»
Dario Comotti – Milano, operaio INNSE
Franco Turigliatto – Sinistra Anticapitalista
Eliana Como – Direttivo nazionale CGIL
Francesco Locantore – FLC – il sindacato è un’altra cosa, opposizione CGIL
Nando Simeone – Direttivo nazionale Filcams CGIL a
Annamaria Lupo – impiegata bancaria e sindacalista Fisac-CGIL
Federico Giusti – Pisa, Sindacato Generale di Base
Franco Cilenti – Direttore del periodico Lavoro e Salute
edizione online
Claudio Cimmino – Napoli, musicista
musicisti campani del Collettivo Insorgenza Musica
Gruppo musicale Chiodo Fisso Napoli
Gruppo musicale E Zezi Gruppo Operaio – Pomigliano d’Arco (NA)
Monica De Simone – Trieste, ricercatrice
Mario Sommella – Latisana (UD), ex operaio, presidente Prima Le Persone
Marco Caldiroli – Presidente Medicina Democratica Onlus
Gian Luca Garetti – medico, vicepresidente Medicina Democratica
L’intera Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute Onlus
Domenico Stimolo – Catania, pensionato- ex componente CC FIOM
Michele Nani – Ferrara, Ricercatore ISSM-CNR, Napoli
Peter Behrens – segretario provinciale PRC Trieste
Roberta Fantozzi – Pisa, Responsabile Lavoro PRC-SE
Monica Martenghi – Firenze, Membro Ufficio politico del PMLI e direttrice responsabile de “Il Bolscevico”
Massimo Formica – Formica rsu Slc-Cgil di Roma e Lazio in Poste Italiane
Mauro Castagnaro – Crema (CR), giornalista
Laura Minguzzi – Milano, Presidente Circolo della rosa Milano
Alessandro Bianchi – Noicattaro (BA), professore Informatica Università Bari
Umberto Di Giovanni – Siracusa, avvocato giuslavorista Giuristi Democratici
Luca Orsogna – Ariano Irpino (AV), avvocato
Domenico Roccisano – Milano, avvocato giuslavorista
Vittorio Boarini – Bologna, storico e critico del cinema
Laura Cima – Torino, scrittrice ecofemminista
Valentina Roberto – Messina, coordinatrice provinciale S.I. Cobas Messina
Marco Bersani – Attac Italia
Donato Di Santo – San Fele (PZ), operaio FCA Melfi
Fabio Zayed – Roma, fotogiornalista
Aldo Laspagnoletta – Melfi (PZ), operaio FCA Melfi
Marta Francia – Parigi, storica dell’arte
Danilo Mangano – Milano, giornalista
Simona Dionisi – Roma, medico
Giulia Angeloni – Roma, attrice
Calogero Cannarozzo – Livorno, psichiatra
Fabio Troncarelli – Roma, pensionato, già docente universitario
Raffaele Mantegazza – Arcore (MB), docente universitario
Luca Pezza – Milano, RSU Michelin Italiana
Giuseppe Chimisso – Bologna, Associazione Skanderbeg della Comunità albanese di Bologna
Banda POPolare dell’Emilia Rossa – gruppo musicale composto di operai metalmeccanici
Dimitris Argiropoulos – docente Università di Parma
Amalia Navoni – Coordinamento Nord Sud del Mondo
Sandro Sardella – poeta
Sergio Falcone – Roma, poeta
Gabriele Giraudo – operaio Buzzi Unicem di Robilante (CN)
Simone Pastorino – Torino, attore
Marcello Romolo – Napoli, attore
Sarina Aletta – Roma, attrice scrittrice
Antonello Nave – Firenze, insegnante e regista teatrale
Marta Scaglioni – Milano, ricercatrice
Lorenzo Semeraro – Crispiano (TA), operaio ILVA
Teresa Sodano – Comitato lavoratori porto di Napoli
Jean-Claude Martini – delegato ufficiale Korean Friendship Association – Italia
Gino Carpentiero – Firenze, Medicina Democratica
Margherita Calderazzi – Taranto, a nome di Slai cobas sindacato di classe – coord. naz.
Gianfranco Di Florio – Bologna, avvocato
Andrea De Minicis – Roma, impiegato e sociologo
Luisa Andreani – Bergamo, Operaia metalmeccanica, delegata fiom cgil
Maurizio Rovini – Pontedera (PI), macchinista FS
Cesare Dell’Oca – Gavardo (BS), medico
Sebastiano Lamera – Bergamo, operaio Tenaris Dalmine Slai Cobas per il sindacato di classe
Gian Marco Martignoni – Tradate (VA), Cgil Varese
Monica Coin – partito comunista italiano
Lavinia Flavia Cassaro – Torino, insegnante licenziata
Giuseppe D’Alesio – Napoli, coordinatore provinciale Si Cobas Napoli
Luigi Sito – Napoli, Lavoratore Arpac mult. e Segr. SLL
Leone Gatti – Chiari (BS), avvocato
Claudia Tagliavia – Roma, ricercatrice
Lorenzo Cassata – Roma, ricercatore Istat
Anna Emilia Berti – Padova, professore ordinario Psicologia dello Sviluppo. Università di Padova
Amelia Narciso – Sanremo (IM), sez. ANPI “G. Cristiano Pesavento”
Luca Surian – Spinea (VE), professore Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive Università di Trento
Luigi Ficarra – Padova, avvocato
Laura Bismuto – consigliera comunale Napoli
Carolin Franta – Amburgo, politologa
Simonetta Astigiano – Presidente Associazione L’Altra Liguria
Leonardo Bargigli – Firenze, docente universitario
Arturo Tagliacozzo – Napoli, docente Università “Federico II”
Franco Ventriglia – Napoli, docente universitario
Loris Masserini – Gazzaniga (BG), pittore e pensionato
Davide Bertaccini – Fusignano (RA), ricercatore
Marta Bonetti – Lucca, ricercatrice
Italo Di Sabato – coordinatore Osservatorio Repressione
Franco Nanni – San Lazzaro di Savena (BO), psicologo
Alessandra Valentini – Velletri (Roma), giornalista
Rocco Ornaghi – Inzago (MI), pensionato giornalista
Giuseppe Marmo – Napoli, professore emerito Fisica Teorica, Università “Federico II”
Giovanna Pasi – Roma, giornalista
Salvatore Palidda – Genova, docente Università di Genova
Umberto Di Giovanni – Siracusa, avvocato
Matilde Di Giovanni – Siracusa, avvocato
Alessio Taormina – avvocato e insegnante
Valerio Torre – avvocato
Paola Porry Pastorel – psicologo
Chiara Torricelli – Roma, giornalista
Patrizia Giuliano – docente Università “Federico II” di Napoli
Mario Gamba – Roma, giornalista
Alberto Pantaloni – Torino, RSU Conf. Cobas – Comdata
Gaetano Grasso – Milano, docente in pensione
Valerio Romitelli – Bologna, docente universitario
Maria Giovanna Testa Assumma – Napoli, professoressa
Laura Fiocco – Belluno, docente universitario, sociologia e scienze politiche
Vincenza d’Apice – Napoli, docente di Scuola secondaria superiore a riposo
Emanuela Rosanova – Napoli, professoressa
Carmelo Buscema – Messina, ricercatore
Emanuele Casalino – Ferrara, pastore protestante
Giuseppe Del Rossi – Pozzuoli (NA), giornalista, comunicatore pubblico
Salvatore Napolitano – Napoli, docente scuola secondaria di II grado e già Consigliere Provincia di Napoli
segreteria Prc fed. di Bergamo – Referente e membro Rsu Comune di Dalmine per la Fp/Cgil
Uber Serra – Bologna, pensionato già docente
Cristiano Castelfranchi – Roma, ricercatore
Marco Gramegna – Torino, ricercatore in Scienza delle Misure
Luca Martino – Moncalieri (TO), Tecnico EPR
Guido Alampi – Torino, CTER presso INFN Torino
Alessio Avella – Torino, ricercatore
Valerio Tarone – Torino, medico
Aldo Milani – coordinatore nazionale SI Cobas
Giordano Sivini – professore di sociologia politica in pensione, Università della Calabria
Raffaele Palombino – Napoli, medico in pensione
Giovanni Orsi – Napoli, già prof. ord. di Vulcanologia Università Federico II di Napoli
Enzo Barone – avvocato
Angelo Ferracuti – scrittore
Gian Marco Martignoni – CGIL di Varese
Franco Padella – Roma, ricercatore
Marcello Cicirello – Roma, regista
Gianfranco Lotito – Pisa, docente universitario
Alessandro Russo – Lucca, docente Lingua e letteratura latina, Università di Pisa
Pierangelo Scatena – Castelnuovo di Garfagnana (LU), psichiatra
Michele Nardini – Viareggio (LU), giornalista
Salvatore Russo – Barletta (BT), medico
Geremia Tierno – Giugliano in Campania (NA), musicista
Gruppo Musicale Capatosta – Napoli
Federica Graziani – Roma, scrittrice
Riccardo De Venere – Pregnana Milanese (MI), operaio delegato RSA Fiom FPT
Rosario Di Lorenzo – Segreteria politica movimento demA
Massimo Dionisi – segretario provinciale OrSA TPL Roma e Lazio
Giampiero Pelagalli – Jesi (AN), Ufficio Vertenze CGIL

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Cacciati da Roma con un Daspo gli operai licenziati dalla Fiat/FCA

Comunicato stampa
12 ottobre 2018

Cacciati da Roma con un Daspo gli operai licenziati dalla Fiat/FCA

Abbiamo dato vita ad appelli e iniziative in difesa dei cinque operai cassintegrati della Fiat/FCA che, dopo essere stati vittime di trattamenti discriminatori sul luogo di lavoro e dopo aver denunciato il suicidio di due compagni altrimenti dimenticati, sono stati ritenuti colpevoli di aver inscenato una protesta pacifica davanti ai cancelli della fabbrica e dunque licenziati.

Li difendiamo non solo perché li riteniamo vittima di un’ingiustizia sia giudiziaria sia esistenziale, ma perché attorno alla decisione della Corte di Cassazione di recepire le ragioni dell’azienda e ratificare il loro licenziamento si gioca il ricorso all’“obbligo di fedeltà” inteso come strumento per liberarsi di lavoratori scomodi, accusati di ledere gli interessi dell’azienda con il loro solo dissenso, non solo sul posto di lavoro ma persino nella vita privata e fuori dall’orario di lavoro.

Nel 2016, i cinque lavoratori licenziati di Pomigliano ottennero una sentenza favorevole della Corte d’Appello, che di fatto riconosceva il loro diritto di espressione, ma nel giugno 2018 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, di fatto condannandoli all’indigenza. Contro questa decisione pregiudizievole per la vita dei lavoratori, abbiamo organizzato un convegno e uno spettacolo a Napoli, lo scorso 30 settembre.

In quell’occasione, i cinque avevano annunciato la loro intenzione di non fermarsi, e l’11 ottobre due di loro, Mimmo Mignano e Massimo Napolitano, sono saliti sul tetto del Primo Municipio di Roma chiedendo un intervento da parte del ministro del Lavoro Luigi Di Maio. “Noi dobbiamo vivere”, hanno scritto. “Siamo operai e non vogliamo sussidi ma un lavoro. La nostra protesta avrà termine quando avremo risposte certe”.

La loro iniziativa è stata immediatamente repressa. Sono stati fermati e portati in commissariato insieme ai quattro compagni che presidiavano piazza Barberini. Lì si sono visti consegnare un Daspo urbano della durata di due anni – un provvedimento incongruo, smisurato, che sembra inteso a proteggere i palazzi del potere dalla libera manifestazione del dissenso.

Contestiamo nella maniera più ferma questa disposizione, che rientra negli orientamenti di un governo deciso a far passare, con il pretesto di garantire la sicurezza, la negazione di ogni diritto civile, compreso quello di manifestare il proprio pensiero contrario. Ribadiamo la nostra solidarietà ai cinque operai licenziati e ci impegniamo ad accompagnarli nella difesa della loro dignità attraverso la battaglia per il lavoro.

Andrea Vitale, educatore e pubblicista
Ascanio Celestini, attore e regista
Erri De Luca, scrittore
Guido Viale, economista
Daniela Padoan, scrittrice
Moni Ovadia, attore
Francesca Fornario, giornalista e scrittrice
Alex Zanotelli, missionario comboniano
Luigi De Magistris, sindaco di Napoli
Paola Regina, avvocato internazionalista
Daniele Sepe, musicista
Livio Pepino, già presidente di Magistratura democratica e componente del Consiglio superiore della magistratura, direttore di “Questione giustizia”
Luigi Ferrajoli, giurista, professore di filosofia del diritto all’Università di Camerino
Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista
Luigi De Giacomo, fondatore Attuare la Costituzione
Cesare Antetomaso, Associazione nazionale Giuristi Democratici
Giuseppe de Marzo, responsabile politiche sociali di Libera
Francesco Pallante, professore di diritto costituzionale all’Università di Torino
Danilo Risi, esecutivo nazionale Giuristi Democratici e presidente Giuristi Democratici di Napoli
Alessandra Ballerini, avvocato
Mario Agostinelli, ex segretario CGIL Lombardia
Franco Rossi, docente e pubblicista
Annamaria Rivera, antropologa
Giuseppe Libutti, avvocato, Attuare la Costituzione
Marco D’Isanto, commercialista e pubblicista
Giovanni Russo Spena, avvocato giuslavorista
Riccardo Petrella, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio)
Maurizio Acerbo, segretario PRC
Maria Grazia Meriggi, docente di storia delle culture politiche e dei movimenti sociali europei all’Università di Bergamo
Stefano Galieni, responsabile migrazione Prc
Federica Graziani, ricercatrice “A buon diritto”
Vittorio Agnoletto, medico, docente universitario
Piero Basso, presidente Costituzione Beni Comuni
Mario Sommella, presidente Associazione Prima le persone
Lo Stato sociale, gruppo musicale
E’ Zezi, gruppo operaio di Pomigliano d’Arco

LE ADESIONI ALL’APPELLO

Carlo A. Silenzi, bibliotecario. (Biblioteca di Scienze geo-ambientali e planetarie, Prato)
francesca romana stabile
Marco Maggiori
Roberto Musacchio
Francesco Marola, dottorando
Giuseppe Abbà Consigliere Comunale per il PRC di Mortara PV
La redazione di Lavoro e Salute, Torino
Franco Cilenti, Giornalista pubblicista Torino
Carlo Alicandri-Ciufelli, medico
rosa rinaldi, segreteria nazionale PRC
Nadia Palozza cpn prc
Simone Antonioli
Mauro Castagnaro – giornalista – Crema
Riccardo De Venere operaio delegato RSA Fiom FPT Pregnana Milanese
Paolo Taverna, Trieste, funzionario Ente locale
marco Poggi , ricercatore INFN
Fabio Finotti, Voghera (PV)
Valter Maratona
Frank Cimini
Nicola Lanza
Celestina Villa, Cremona
Livio Piazza;libero pensatore
Gildo Ravazzolo, Torino
Crotti Claudio, Milano
Cherchi Rita, Milano
Pinto Nunzia
Claudia Lanci impiegata Frisa Chieti
Rosario Di Lorenzo, Segreteria politica movimento demA
Angelo Pasotti (anche altro appello)
Giucucco
Massimo Dionisi segretario provinciale OrSA TPL Roma e Lazio
Alberto Merli, Dirigente azienda pubblica Piacenza
Donatella Allegro
Roberto Barbieri, maestro elementare, Asciano Pisano (pi)
Fiorenzo Parziale, Ricercatore in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Antonio D’Onofrio
Marcello Proietti, pensionato, Frascati
Daniela Turco
Sergio Golinelli, Ferrara
Giampiero Pelagalli, Ufficio Vertenze CGIL, Jesi (AN)
Domenico Stimolo, Catania, ex Comitato Centrale Fiom
Gianni Santarpino
Daniele Barbieri, Imola – blog “La bottega del barbieri”
Andrea Ricci, impiegato
Adriano Candioli, Roma
Vincenzo Miliucci, esecutivo nazionale Cobas Confederazione dei Comitati di Base

 

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Noi licenziati dalla fiat la nostra povertà un monito

Da Il Manifesto del 30_09_2018

Noi licenziati dalla fiat la nostra povertà un monito

di Adriana Pollice

Pomigliano. Al Maschio Angioino di Napoli oggi una giornata di solidarietà ai 5 operai disoccupati. La sentenza della Cassazione di giugno li ha condannati a risarcire il Lingotto.

La sentenza della Cassazione che li ha lasciati senza lavoro e senza stipendio è arrivata lo scorso 6 giugno. Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore da allora vivono senza alcun reddito, anzi devono restituire due anni di paghe a Fca. I cinque oggi sono al Maschio Angioino di Napoli: il pomeriggio si discute di obbligo di fedeltà al datore di lavoro, dalle 21 recital teatrali e musica, ingresso libero a sottoscrizione. L’intera giornata servirà a raccontare la loro storia ma anche a capire come funzione il principio «dell’obbligo di fedeltà», applicato dai giudici nel dispositivo della sentenza definitiva e che si sta ritorcendo anche contro Micaela Quintavalle, autista e sindacalista dell’Atac, licenziata per aver denunciato il cattivo funzionamento dei mezzi pubblici a Roma: avrebbe «violato il codice etico e leso l’onorabilità dell’Atac».

L’odissea dei cinque operai della Fiat di Pomigliano d’Arco comincia nel 2014, quando inscenano il funerale dell’ad Sergio Marchionne davanti ai cancelli dello stabilimento. L’azienda li licenziò, decisione confermata dal tribunale di Nola ma annullata nel 2016 in Appello. Gli ermellini a giugno hanno dato ragione al Lingotto: «Le modalità espressive della critica hanno travalicato i limiti di rispetto della democratica convivenza», con «un comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia alla base del rapporto di lavoro». Di parere opposta era stata la Corte d’Appello: i giudici avevano condannato Fca «alla reintegrazione dei lavoratori nonché al risarcimento del danno».

I cinque in fabbrica non sono mai tornati, per due anni l’azienda li ha tenuti a casa a paga intera, lontani dai colleghi. Adesso dovranno restituire gli stipendi: «Se consideriamo il Tfr che devo avere, devo ridare a Fca 7.300 euro – racconta Mignano -, soldi che non ho perché dal 2014 al 2016 sono stato senza paga, con una famiglia da mantenere. Ci siamo caricati tutti di debiti. Questa è stata la forza dell’azienda: costringerci alla povertà come monito per tutti i lavoratori del gruppo. Ma avevamo ragione noi: dal 2008 ripetiamo che il piano Marchionne va bene solo per gli azionisti. Dopo dieci anni viene fuori che ci sono ancora sul tavolo 2.200 esuberi a Pomigliano e, dopo tutti i sacrifici imposti ai dipendenti e i turni di lavoro molto oltre quanto il fisico può sopportare, sentiamo parlare di licenziamenti».

Quando Marchionne è morto la storia dei cinque è finita in secondo piano: «I nostri morti non li ha pianti nessuno – prosegue Mignano -. Quando inscenammo il funerale dell’ad Fiat, tre nostri colleghi si erano tolti la vita dopo anni di cassa integrazione a zero ore. La loro storia non la ricorda nessuno. Quando il 6 giugno è arrivata la sentenza di Cassazione, a Roma c’era un incontro al ministero del Lavoro tra Fca e sindacati. Il più alto in grado del Lingotto al tavolo ebbe la notizia ed esultò col pugno in aria, quando gli chiesero cosa fosse successo disse: Abbiamo sconfitto Mignano e gli altri. Questi sono i padroni, felici di buttare per strada cinque operai».

Quello stesso giorno Mimmo era a Pomigliano: davanti casa del neoministro Luigi Di Maio si cosparse il corpo di benzina. Il capo politico dei 5S, quella sera, gli promise che il Movimento non li avrebbe lasciati soli: «La prossima settimana ci accamperemo davanti al Mise – conclude Mignano -, il reddito di inclusione non ci interessa. I lavoratori hanno diritto a esercitare una professione, avere una giusta paga e non barattare la dignità con concessioni. Accettare i meccanismi del reddito di inclusione significherebbe buttare via decenni di lotte».

Il programma della giornata prevede: dalle 16 il convegno sulla libertà d’espressione con gli avvocati Pino Marziale, Danilo Risi e Paola Regina; il vicepresidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena; il sindaco Luigi de Magistris; l’ex segretario Cgil Lombardia Mario Agostinelli, Guido Viale. Dalle 21 sul palco Erri De Luca, Ascanio Celestini, Lo Stato Sociale, Francesca Fornario, Daniele Sepe con Stefano Bollani, E’ Zezi. Proiezione del cartone Pulcinella di Emanuele Luzzati accompagnato dalla rielaborazione della storia dei cinque scritta da Daniela Padoan.
© 2018 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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Pomigliano d’Arco, il manichino di pezza esibito e i corpi reali

Da Il Manifesto del 30_09_2018

Pomigliano d’Arco, il manichino di pezza esibito e i corpi reali

di Federica Graziani e Luigi Manconi

«Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti». Così scriveva Maria Baratto, operaia del gruppo Fiat, da quattro anni in cassa integrazione. Due anni dopo, il 20 maggio del 2014, colpendosi con quattro coltellate nel ventre renderà presaghe quelle parole e insieme l’anima sua.

Cinque operai dello stabilimento di Pomigliano d’Arco, qualche giorno dopo quel suicidio il terzo in quel polo industriale appendono un fantoccio di pezza e gommapiuma a un palo davanti ai cancelli della fabbrica, gli passano una corda intorno al collo e attaccano sul volto una fotografia dell’allora amministratore delegato, Sergio Marchionne. La Fiat contesta la manifestazione come lesiva della propria immagine, e dispone il licenziamento dei cinque.

Di qui, l’iter legale dei diversi procedimenti si articola in tre successivi capovolgimenti. La prima sentenza, del Tribunale del Lavoro di Nola, rigetta il ricorso degli operai: i cinque, rendendosi responsabili di «un’intollerabile incitamento alla violenza» e di «una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro», avrebbero procurato «gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario».

Nel settembre del 2016 la Corte d’Appello di Napoli, nel pronunciarsi, approfondisce e illustra il cuore della controversia: i lavoratori hanno esercitato il proprio diritto di critica legittimamente e quindi non solo nel rispetto della legge ma anche in modo da non esorbitare nella rappresentazione la continenza sostanziale e formale oppure illegittimamente? E, di conseguenza, la reazione aziendale è stata proporzionata? Il giudizio d’appello risponde che quei limiti di continenza nel diritto di svolgere critiche dell’operato altrui, da garantirsi in una società democratica, non sono
stati travalicati da quell’azione teatrale, pure «macabra e sarcastica».

Ridimensionata nel perimetro delle condotte legittime, la protesta inscenata non può sostenere quindi nessuna ipotesi di violazione degli obblighi alla base del rapporto di lavoro: né lo svolgimento dell’attività aziendale, né il vincolo di fiducia tra lavoratori e imprenditore sono stati lesi. Rovesciando quindi la prima sentenza, la Corte d’Appello ordina alla Fiat il reintegro degli operai nel posto di lavoro. L’azienda incomincia a versare il salario ai cinque, ma non ne consente il ritorno in fabbrica e ricorre in Cassazione.

E dunque, sulla rappresentazione scenica dei cinque di Pomigliano anche la Corte Suprema è chiamata a pronunciarsi. Il giudizio che ne dà è quello di un’azione teatrale che, attribuendo tratti riprovevoli e disonorevoli all’amministratore delegato ed esponendolo al pubblico dileggio, oltrepassa la misura dell’esercizio del diritto di critica per «travalicare il limite della tutela della persona umana» e del «rispetto della democratica convivenza civile». Gli operai sarebbero venuti meno all’«obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato» (art. 2105 del Codice civile), la loro manifestazione avrebbe leso irreparabilmente quella fiducia che è alla base del rapporto di lavoro e l’azienda avrebbe diritto, quindi, a licenziarli per giusta causa. Mimmo Mignano, Antonio Montella, Massimo Napolitano, Marco Cusano e Roberto Fabbricatore perdono così il lavoro.

Da una parte, l’allestimento teatrale del finto suicidio di Marchionne: azione scenica di critica radicale delle relazioni industriali, presa di posizione di fronte alle sfibranti condizioni quotidiane di esistenza, parola posta davanti al dolore. Dall’altro, tre diversi gradi di giudizio che sono chiamati a pronunciarsi sulla continenza decorosa di una rappresentazione, esprimono sentenze di gusto, discutono di motivazioni in base a criteri tratti dalla teoria estetica o dal genere letterario della satira.

Da una parte, tre operai che si tolgono la vita e altri che tentano di farlo, una cassa integrazione lunga anni, numerosi licenziamenti e la prospettiva di una definitiva chiusura del sito industriale. Dall’altra, una politica aziendale che esige mano libera per poter disporre di un mercato del lavoro la cui flessibilità deve estendersi fino alla cancellazione di interi settori di lavoro salariato.

Qui non è rilevante un atteggiamento di adesione o meno nei confronti delle lotte operaie: è in gioco, piuttosto, una concezione del diritto. Quella che ha indotto una Corte a giudicare di un soggetto immateriale come una rappresentazione scenica e a sentenziare in via definitiva contro cinque
individui, che sono materia, carne, ossa, relazioni. Se la vita degli uomini si manifesta attraverso la corporeità e se quei corpi che siamo preesistono al diritto, come può un tribunale essere chiamato a giudicare delle conseguenze dell’esibizione di un manichino di pezza e in nome dello spettacolo indecoroso che questo offrirebbe confermare il licenziamento a cinque persone e quindi rendergli ancora più impervia l’esistenza? Gli operai di Pomigliano hanno perso il lavoro perché il loro diritto di «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» è stato da una sentenza giudicato secondo
al diritto di un pezzo di gommapiuma, di qualche metro di corda e di una immagine fotografica di non essere esposti.
© 2018 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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Criticare Marchionne era legittimo

Dal Il Manifesto del 28_09_2018

Criticare Marchionne era legittimo

di Guido Viale

La campagna. I cinque operai della Fiat di Pomigliano che avevano inscenato davanti alla fabbrica un finto suicidio di Marchionne, fingendo che si fosse impiccato perché pentito delle sue angherie, sono stati licenziati definitivamente. Il 30 settembre al Maschio Angioino di Napoli una giornata di solidarietà.

Quando è morto Sergio Marchionne i media si erano profusi in lodi sperticate delle sue capacità, della sua personalità, e persino della sua moralità: ha rimesso in piedi la Fiat, ha creato un gruppo internazionale, ha introdotto un nuovo stile nel comando (maglioncini e vita riservata), era un indefesso lavoratore, ha salvato migliaia di posti di lavoro…

Pochi avevano ricordato che Marchionne ha portato la sede fiscale di Fca a Londra, quella legale in Olanda, quella operativa a Detroit e i suoi obblighi fiscali in Svizzera; che il suo reddito ammontava a 400 volte quello medio dei dipendenti; che i contratti collettivi della Fiat sono stati imposti con il ricatto; che degli 8 piani industriali presentati per giustificare un ricorso ininterrotto alla cassa integrazione a spese dell’Inps nessuno è stato mai realizzato; che (ma allora non si sapeva) per imporre un salario dimezzato ai nuovi assunti in Chrysler avrebbe corrotto i sindacalisti; e che il regime imposto agli operai ancora al lavoro in Italia è violento, arbitrario e umiliante (nello stabilimento di Pomigliano c’è una gabbia di vetro dove gli operai che non reggono i ritmi o sbagliano qualcosa devono denigrarsi di fronte ai colleghi) E solo il Corriere del Mezzogiorno (oltre
al manifesto) aveva ricordato il suicidio, accoltellandosi, di Maria Baratto, un’operaia di Pomigliano. Ma anche di quella vicenda mancava il prima e il dopo.

Il «prima» è che per sbarazzarsi degli operai più combattivi o impossibilitati a tenere i ritmi Fiat, Marchionne aveva creato a Nola un reparto confino dove li teneva in cassa integrazione permanente, o a far niente; e che tra loro i suicidi erano stati tre, e molti di più quelli tentati.

Il «dopo» è che per protesta 5 operai avevano inscenato davanti alla fabbrica un finto suicidio di Marchionne, fingendo che si fosse impiccato perché pentito delle sue angherie. I 5 erano stati licenziati per aver offeso l’onore dell’azienda e del suo top manager; licenziamento confermato dal tribunale di Nola con la motivazione che erano venuti meno all’obbligo di fedeltà verso l’azienda; che, secondo il giudice di Nola, vieta «la manifestazione di opinioni e critiche inerenti alla persona del datore di lavoro e/o dell’attività da questi svolta»: cioè di Marchionne e dei suoi metodi. Il giudizio di appello aveva annullato quella sentenza, imponendo il reintegro (mai attuato) dei 5, ma la Cassazione l’ha confermata, ha reso definitivo il licenziamento e ha creato un precedente per tutti i futuri giudizi dello stesso genere: i dipendenti non hanno il diritto di criticare il padrone perché questo danneggia sia lui che l’azienda. È stato così aggiunto il divieto di esprimere le proprie opinioni alla lunga lista delle diseguaglianze reddito, potere, sicurezza, riconoscimento della dignità che separano l’onnipotenza trionfante di un manager ricco e incensato dalla miseria di un lavoratore sfruttato, perseguitato e licenziato, senza più alcuna prospettiva di lavoro e di reddito. Che crepi!

Per leggere e sottoscrivere l’appello «Obbligo di fedeltà: per la libertà di parola e
l’eguaglianza di fronte alla legge», https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/ oppure inviare mail a ellugio@tin.it
Il 30 settembre al Maschio Angioino di Napoli si terrà un convegno (ore 16) ed
un’assemblea spettacolo (ore 21) su questi temi. Parteciperà il sindaco De Magistris.
© 2018 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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Libertà di parola, la solitudine del mondo operaio.

da Il Manifesto del 21_09_2018

Libertà di parola, la solitudine del mondo operaio

di Mario Agostinelli

La mobilitazione contro il rilicenziamento dei cinque operai di Pomigliano. Il 30 settembre a Napoli si terrà un convegno e un’assemblea spettacolo su questi temi.

La vicenda del rilicenziamento dei cinque operai di Pomigliano da parte di Fca è nota. All’immediato licenziamento degli operai (colpevoli di aver rappresentato un Marchionne in effige che si impicca da sè) aveva fatto seguito una sentenza di reintegro da parte del tribunale di Napoli, contro cui Fca ha fatto ricorso in Cassazione.

La sentenza di questo autorevole organo della magistratura, che ha articolato senza pretese di equidistanza le motivazioni a sostegno dell’allontanamento dei cinque dal lavoro e dal salario maturato, va considerata come un segno amaro e preoccupante dei tempi. Un segnale che va contrastato nella sostanza, per i valori di cui si fa interprete contro l’autonomia del lavoro e a favore della supremazia dell’impresa. E questa asimmetria avanza giorno dopo giorno nella solitudine del mondo operaio e proprio anche quando i contendenti continuano a confliggere aspramente.

Questo avviene nella disattenzione dell’opinione pubblica e, purtroppo, in assenza, dopo l’abolizione dell’articolo 18, di un arbitro che restituisca simmetria al diritto al lavoro rispetto agli interessi dell’impresa. Vengono oggi ridefiniti nella pratica e anche purtroppo nella più recente giurisprudenza – vincoli non più in sintonia con l’art.1 o l’art. 21 della Costituzione, come nel caso del malinteso “obbligo di fedeltà” da parte della lavoratrice o del lavoratore cui ha fatto riferimento la sentenza della Cassazione. Diciamolo con nettezza: un obbligo di fedeltà nel rapporto di lavoro che non sia quello della segretezza o del know-how dell’impresa, appare come un “valore apocrifo”, tale per cui l’adesione a un contratto di lavoro consegnerebbe le convinzioni personali al giudizio dell’impresa. Nel caso in questione si è innalzato il potere dell’azienda al di sopra dello Statuto dei Lavoratori e in contrasto con l’art. 21 della Costituzione, che tutela la libertà di opinione in ogni sua manifestazione, attuando così la rinuncia di condizionare il mercato a tutela dei lavoratori come corpo sociale dotato di diritti inalienabili una volta conquistati.

Vero è che il caso del licenziamento in ultima istanza dei cassintegrati Fiat, colpevoli di aver espresso, anche in modo brusco, dolore e rabbia per il suicidio di tre compagni di lavoro, si presenta a noi tutti come un fatto di straordinaria importanza sul piano della libertà e di quella democrazia “che ha varcato – come ripeteva Vittorio Foa i cancelli della fabbrica”. Non si tratta, quindi, di uno sgradevole episodio di relazioni industriali o di provvedimenti attinenti ai comportamenti di questo o quel sindato.

Nella sentenza della Cassazione rimane in ombra quella responsabilità sociale fatta valere dal terzo potere dello stato contro il sistema delle imprese e il dispotismo padronale in fabbrica.

Per leggere e sottoscrivere l’appello «Obbligo di fedeltà: per la libertà di parola e l’eguaglianza di fronte alla legge»: https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/, oppure inviare mail a ellugio@tin.it

Il 30 settembre a Napoli si terrà un convegno e un’assemblea spettacolo su questi temi.

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Libertà di espressione nei luoghi di lavoro – Un convegno e uno spettacolo

MANIFESTO EVENTO 30 SETTEMBRE 2018

Due anni fa lanciammo una campagna contro il licenziamento di cinque lavoratori cassintegrati della Fiat di Nola “rei” di aver violato un fantomatico “obbligo di fedeltà” nei confronti dell’azienda.
Quella mobilitazione portò a un enorme risultato: la sentenza della Corte di Appello di Napoli, con la quale, nel settembre 2016, venne imposto alla FCA il reintegro in fabbrica dei cinque operai che avevano inscenato, fuori dall’orario e dal posto di lavoro, il finto suicidio dell’allora amministratore delegato. Si era trattato di un estremo tentativo di far udire la propria protesta di fronte ai suicidi – veri – verificatisi fra i loro compagni di lavoro del reparto confino di Nola.
Quella vittoria è stata completamente azzerata dalla recente sentenza della Cassazione, che ha confermato i licenziamenti in virtù proprio di un “obbligo di fedeltà” che limiterebbe drasticamente la possibilità dei lavoratori dipendenti di esprimere critiche nei confronti del datore di lavoro.
Con questa sentenza la Cassazione – malgrado i principi di libertà di espressione del proprio pensiero e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge messi a fondamento della nostra Carta costituzionale – ha di fatto sancito l’esistenza di una categoria di cittadini di serie B, con libertà limitate.
Contro questa nuova ferita al diritto di esprimere un pensiero contrario, e in appoggio alla lotta dei cinque licenziati, abbiamo lanciato un nuovo appello in difesa della libertà di espressione dei lavoratori.
La campagna prenderà avvio a Napoli, il prossimo 30 settembre, con un convegno e uno spettacolo teatrale ospitato dal Comune di Napoli a chiusura della rassegna “Estate a Napoli”, nella prestigiosa cornice del Maschio Angioino. Sul palco si alterneranno gruppi musicali, intellettuali e artisti.

Di seguito il programma dell’evento:

CONVEGNO
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE NEI LUOGHI DI LAVORO
Napoli, 30 settembre 2018
Antisala dei Baroni, Maschio Angioino, dalle ore 16 alle ore 19

Presiede:
Andrea Vitale, coordinatore campagna a sostegno dei cinque operai FCA licenziati

Introduce:
Daniela Padoan, scrittrice

Relatori:
Mimmo Mignano, operaio FCA licenziato
“Cosa è l’obbligo di fedeltà?”

Pino Marziale, avvocato difensore dei cinque licenziati dell’FCA
“La sentenza della Cassazione”

Paolo Maddalena, già vicepresidente emerito della Corte Costituzionale
“É necessaria una modifica legislativa per garantire una corretta applicazione del principio dell’obbligo di fedeltà?”

Luigi De Magistris, sindaco di Napoli
“Come le recenti riforme del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi”

Mario Agostinelli, ex segretario CGIL Lombardia
“Dal comando totale del lavoratore in azienda al controllo della vita privata e della libertà personale di espressione. Video sorveglianza da lontano: lo stravolgimento dello Statuto dei Lavoratori”

Danilo Risi, giuslavorista
“L’attuale involuzione del diritto del lavoro”

Paola Regina, avvocato internazionalista
“Portare il caso dei cinque licenziati di Nola alla CEDU”

Intervengono:
Alessandro Arienzo
Giuseppe Aragno
Luigi de Giacomo
Giuseppe Del Bene
Giuseppe De Marzo
Valeria Parrella
Annamaria Rivera
Giovanni Russo Spena
Alex Zanotelli

Dibattito

Conclusioni:
Guido Viale, economista

SPETTACOLO DI MUSICA E PAROLE CONTRARIE
LIBERTA’ DI ESPRESSIONE NEI LUOGHI DI LAVORO

Napoli, 30 settembre 2018
Cortile del Maschio Angioino, ore 21,00

Con la partecipazione di:
Erri De Luca, Ascanio Celestini, Lo Stato Sociale, Francesca Fornario, Daniele Sepe, e’ Zezi

Proiezione cartone animato Pulcinella con monologhi dei cinque operai FCA licenziati – Alternanza di brani musicali e interventi di artisti e intellettuali impegnati nella battaglia in difesa della libertà di critica e di satira dei lavoratori

Ingresso con invito. Gli ingressi liberi, senza invito, saranno consentiti fino ad esaurimento dei posti disponibili.

info: ellugio@tin.it
sito internet: https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com

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Con i lavoratori di Pomigliano contro l’obbligo di fedeltà

da Il Manifesto del 12_09_2018

Con i lavoratori di Pomigliano contro l’obbligo di fedeltà.

 di Daniela Padoan

La fedeltà – come la bontà, o il coraggio – è una virtù, ed è un atto di libertà. La legge non può prescriverla. Come si può obbligare a essere fedeli, buoni, coraggiosi? Si tratta di moti interiori, individuali. Di scelte legate alla sfera della libertà di ciascuno. Un obbligo le azzera.

Cosa sarebbe un obbligo di generosità, di bontà? Un ossimoro, imposto con una forzatura dalla Fiat-Chrysler, respinto come arbitrario dalla Corte d’Appello di Napoli e infine sancito da una sentenza della Corte di Cassazione di Napoli – cinque coraggiosi operai più che cinquantenni hanno definitivamente perso il lavoro e visto compromessa la loro stessa possibilità di sopravvivenza.

La Cassazione ha dato ragione all’azienda che li ha licenziati in tronco per aver messo in scena fuori dai cancelli della fabbrica, fuori dall’orario di lavoro, la rabbia e il dolore per il suicidio di una loro compagna di cassaintegrazione – la terza persona che si toglieva la vita indicando con chiarezza di non reggere all’abbrutimento di un’esistenza in bilico tra licenziamento e inesistenza lavorativa.

“Il prestatore di lavoro”, recita il dispositivo dell’articolo 2105 del Codice civile, “non deve trattare affari in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Nella loro qualità di “prestatori di lavoro”, i cinque operai avevano avuto accesso solo a un limitato segmento di un reparto di logistica dello stabilimento Fca di Nola, e prima ancora, quando erano nella fabbrica di Pomigliano, a un frammento di catena di montaggio, ma da tempo erano stati estromessi dalla produzione e messi in cassa integrazione.
Dunque non rubavano prototipi, non copiavano brevetti, non contendevano nuovi mercati, non trattavano affari in concorrenza. Può però darsi che – gridando che tre compagni di cassa integrazione si erano suicidati – divulgassero notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa.

Fatto sta che la Corte di Cassazione di Napoli – rovesciando la sentenza d’Appello che ne aveva disposto il reintegro sul posto di lavoro, peraltro mai concretamente attuato dall’azienda – ha deciso di legittimare sui cinque un uso estensivo di un obbligo che in tal modo minaccia di diventare onnipresente nella vita del “lavoratore subordinato”.

Fare giuramento di fedeltà è un gesto voluto, un impegno individuale che sancisce un vincolo. Si sceglie a chi o a cosa essere fedeli: alla Costituzione, nel caso dell’insediamento del Presidente della Repubblica; alla Repubblica, nel caso dell’ordinamento militare; alle leggi dello Stato, nel momento in cui si richiede la cittadinanza. Tutti questi casi prevedono un obbligo e il tradimento è punito con mano severa. Un doppio vincolo è dire “sii fedele” quando si è spezzata una relazione. Messi fuori dalla fabbrica, in cassa integrazione, confinati in un reparto che raccoglie i fuori-produzione, gli inservibili, gli scarti – a chi, i cinque operai dello stabilimento della Fca di Nola avrebbero dovuto essere fedeli?

I cinque hanno scelto di essere fedeli ai compagni che si sono suicidati, al loro dolore, alla necessità della testimonianza. Hanno deciso di lottare per dire che ci sono regimi lavorativi che tolgono la possibilità di vivere con dignità. Hanno continuato a dirlo anche quando più nessuno era disposto ad ascoltarli. A questo sono stati fedeli.

Noi ci siamo liberamente dati un altro “obbligo di fedeltà”, essere solidali con chi è generoso di sé fino a non sapere dove dormire e cosa mangiare, con chi è coraggioso per impossibilità di essere sottomesso.
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Il 30 settembre a Napoli si terrà un convegno ed un’assemblea spettacolo su questi temi”.

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Trattati come cani, obbligo di fedeltà al padrone

da il manifesto del 15-08-2018

Fiat di Pomigliano, uno spettacolo-convegno a sostegno degli operai licenziati

Trattati come cani, obbligo di fedeltà al padrone

Erri De Luca

L’articolo di Erri De Luca che segue apre una nuova campagna contro l’obbligo di obbedienza, a difesa dei cinque licenziati di Pomigliano che culminerà il 30 settembre con un evento (convegno-spettacolo) al Maschio Angioino con la partecipazione del sindaco Luigi De Magistris, di Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Francesca Fornario, Erri De Luca, Daniela Padoan, Paolo Maddalena, alcuni dei quali prenderanno parte allo spettacolo (oltre che al convegno) insieme ai cinque operai licenziati. Sarà un grande evento.

Il 6 giugno 2018 la Cassazione ha stabilito l’obbligo di fedeltà dei dipendenti nei confronti del datore di lavoro, anche fuori del turno e del luogo. La sentenza riguarda cinque operai della Fiat di Pomigliano D’Arco, che in appello avevano prevalso sull’azienda che li aveva licenziati.
L’obbligo di fedeltà spetta ai cani e alle altre specie animali addomesticate.
La specie umana si distingue per il conquistato diritto alla libertà di opera e parola.
La storia sacra narra l’esordio della coppia prototipo, piantata in un giardino del quale potevano disporre. Una sola pianta era esclusa dalla loro portata. Proprio da quella vanno a cogliere il frutto e che frutto: la conoscenza di bene e male.
La conoscenza: si spalancano i loro occhi, s’ingrandisce la loro facoltà di percepire, si accorgono di essere nudi. Nessuna specie vivente ha questa notizia. La coppia prototipo si è staccata dal resto delle creature, inaugurando le piste desertiche e inesplorate del libero arbitrio.
La loro libertà inizia dall’infedeltà non solo a un obbligo, ma al legislatore di quell’obbligo, la divinità in persona.
Alla Cassazione spetta l’ultima parola di un procedimento giudiziario. Vuole essere tombale e definitiva. Ma si sa che le lapidi mentono spesso. Perciò dissento. Questa sentenza della Cassazione va ridotta a penultima parola. L’obbligo di fedeltà di chiunque riporta indietro alla storia di un giardino, di una pianta proibita e di un ammutinamento.
Se quella coppia non avesse forzato l’obbligo di fedeltà, la specie umana starebbe ancora imbambolata e nuda nel giardino incantato dell’infanzia.
Sottolineo che l’iniziativa spettò alla donna. Lei osò l’impensabile, imitata da Adàm dopo aver visto che in seguito all’assaggio non era morta, anzi era più bella.
La coscienza civile di questo paese ha oggi il compito di cassare la Cassazione, sentenza del 6/6/2018.
Fuori dall’aula a porte chiuse di una corte, all’aria aperta delle piazze e delle assemblee si casserà l’obbligo di fedeltà, che va contro natura e civiltà.
Nella specie umana inalienabile è il diritto al dissenso, alla critica, allo spirito di contraddizione verso i poteri pubblici e privati. Ne siamo confermati dall’articolo 21 della Carta Costituzionale.
Aggiungo a conclusione del diritto della specie umana all’ammutinamento, che per me e per chi esercita quest’attività di pubblica parola si tratta anche di un dovere.

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UNA BRUTTA SENTENZA CONTRO GLI OPERAI FCA di Massimo Villone

da Il Manifesto del 04/07/2018
Lesa maestà. Una brutta sentenza. Anzitutto, per la “continenza” – concetto peraltro caro alla stessa Corte – con cui si mette la mordacchia alla libertà di espressione. Ancora, per la personalizzazione sul diritto individuale dell’amministratore delegato, ovviamente invece simbolo espressivo di una politica aziendale. Infine, per la ritenuta idoneità della espressione del pensiero, non accompagnata da alcun atto di violenza, a evocare uno «scontro sanguinario», tale da travalicare i limiti della «democratica convivenza civile».

È stata depositata il 6 giugno 2018 la sentenza 14527/18 con cui la Cassazione ha accolto il ricorso FCA contro la Corte di appello, che aveva disposto la reintegrazione nel posto di lavoro di cinque operai licenziati per aver inscenato l’impiccagione e il funerale di Marchionne. Il contesto era dato dalla protesta per il suicidio di alcuni lavoratori addebitato a scelte aziendali. Con la pronuncia della Cassazione diventa definitivo il licenziamento degli operai.

La Corte di appello aveva accolto il ricorso contro il licenziamento, in specie considerando la rappresentazione scenica, ancorché nella forma di satira particolarmente incisiva, come espressione di un diritto di critica e di manifestazione del pensiero. La Cassazione ha invece affermato che “la rappresentazione scenica … ha esorbitato dai limiti della continenza formale attribuendo all’ amministratore delegato qualità riprovevoli e moralmente disonorevoli … travalicando, dunque, il limite della tutela della persona umana richiesto dall’art. 2 della Costituzione … “ e “i limiti di rispetto della democratica convivenza civile, mediante offese gratuite, spostando una dialettica sindacale … su un piano di non ritorno che evoca uno scontro violento e sanguinario, fine a se stesso, senza alcun interesse ad un confronto con la controparte, annichilita nella propria dignità di contraddittore”.

Una brutta sentenza. Anzitutto, per la “continenza” concetto peraltro caro alla stessa Corte con cui si mette la mordacchia alla libertà di espressione. Ancora, per la personalizzazione sul diritto individuale dell’amministratore delegato, ovviamente invece simbolo espressivo di una politica aziendale. Infine, per la ritenuta idoneità della espressione del pensiero, non accompagnata da alcun atto di violenza. a evocare uno “scontro sanguinario”, tale da travalicare i limiti della “democratica convivenza civile”.

Ne viene che il lavoratore può ben lottare per i propri diritti, ma sempre dando il dovuto rispetto al padrone, anche in effigie. Guai ad annichilirlo nella sua dignità di contraddittore. Come se poi fosse mai davvero possibile verso il soggetto forte del rapporto contrattuale. Qui alla morte finta del padrone si dà maggior peso che alla morte vera del lavoratore. E suscita solo ilarità l’idea che nella specie la dignità personale e la reputazione di Marchionne siano state in concreto lese.

Per fortuna c’è un vasto mondo oltre la Cassazione. Da ultimo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato la Spagna per la sanzione penale inflitta dai giudici spagnoli, e assolta da ogni censura dal giudice costituzionale, a due dimostranti che avevano incendiato una fotografia dei reali a testa in giù nell’ambito di una manifestazione contro la monarchia (Stern Taulats et Roura Capellera c. Espagne, Sez. III, 13 marzo 2018). La condanna della CEDU è stata motivata con la violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge la libertà di espressione. Non è, del resto, la prima volta: v. in specie Otegi Mondragon v. Spain, Sez. III, 15
marzo 2011 . E va anche ricordata la trentennale battaglia negli Stati Uniti, a partire dal landmark case Texas v. Johnson, 491 U.S. 397 (1989), sul dare fuoco alla bandiera americana come libertà di espressione.

La Cassazione ci insegna che la difesa dei diritti e delle libertà non può essere subappaltata in via esclusiva alla magistratura. In passato il contributo dei giudici è stato talvolta rilevante, come ad esempio per la fecondazione assistita, le unioni tra persone del medesimo sesso, il fine vita. Ma non è così da ultimo per il lavoro, come dimostrano questa sentenza e altre sui licenziamenti economici e disciplinari. La magistratura nel suo complesso rispecchia il paese, e subisce anch’essa l’impatto di una deriva di destra. Rimane dunque indispensabile la battaglia politica e culturale di sinistra, individuale o collettiva, di testimonianza o di lotta. Ed è urgente ritrovare la difesa senza se e senza
ma dei diritti del lavoro, al di fuori di mosse poco più che di immagine come il cd decreto dignità.

Se dipendesse da sentenze come quella del 6 giugno, potremmo anche tornare alla prima rivoluzione industriale e alle sweatshops, consegnate alla storia dalle lotte dei lavoratori. Se talvolta è mancato il dovuto rispetto per i padroni, ce ne scusiamo.

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